È stato un bel momento di festa quello vissuto nella comunità di Poggio Bustone per l’arrivo del nuovo parroco. A raccogliere la guida per fedeli del borgo caro a san Francesco da padre Giuseppe è padre Ezio Casella, direttore dell’Ufficio Liturgico diocesano, di casa nel santuario che domina il paese.
A leggere dall’ambone il decreto di nomina firmato dal vescovo Domenico, nei momenti iniziali della liturgia, è stato il diacono Fabrizio Blasetti, davanti all’assemblea riunita per l’evento e al coro. Presenti alla liturgia anche padre Renzo Cocchi, guardiano del santuario di Poggio Bustone, e don Pietro Janik, parroco di San Pietro di Poggio Bustone. Con loro, una comunità cristiana alla quale mons Pompili ha chiesto di sintonizzarsi sul passo degli ultimi, dei lontani, di quelli che non si vedono, di quelli che sembrano presi da tutt’altro. Un invito all’umiltà parallelo a quello rivolto al nuovo parroco.
Umiltà e gratuità
Tanto il sacerdote quanto il suo gregge, infatti, debbono improntare il rapporto con gli altri all’insegna della totale gratuità. E se per la comunità parrocchiale vuol dire la consapevole certezza di non poter bastare a se stessa, di dover essere sempre aperta, per il parroco comporta la necessaria rinuncia a ogni aspettativa di ricompensa per il proprio impegno. «Il parroco – ha spiegato il vescovo – è uno che sa mettere in conto che non sarà contraccambiato». Anche perché «il prete che passa il tempo a cercare una ricompensa andrebbe immediatamente in depressione. Non c’è possibilità di vedere il compenso dei propri sforzi, bisogna seminare senza poter vedere il risultato di questo impegno». Perché è comunque «questa la strada vera, che ci fa camminare vicino alle persone. Amare senza aspettarsi nulla è voler bene di quell’amore che porta in gestazione la vita di molti».
Affidati a Maria
Tutti suggerimenti accolti di buon grado da padre Ezio, che salutando i presenti ha ammesso la sua particolare gioia nell’aver avuto questo nuovo impegno dal vescovo, aggiungendo di«essere pronto da dieci anni», cioè da quando aveva lasciato la sua vecchia parrocchia. Un tempo durante il quale molte cose sono cambiate nella sua vita, ma che lo ha anche aiutato a guadagnare una maggiore consapevolezza.
E provando a corrispondere all’invito all’umiltà proposto dal vescovo, a rispondere alla domanda su quale è il suo posto nella parrocchia e quale quello della parrocchia stessa, si è rivolto alla figura di Maria, che probabilmente, alle nozze di Cana, si trovava in cucina quando si accorse della fine del vino. Si trovava cioè quanto più vicino alla vita, alle cose concrete, al lavoro delle persone.
E per meglio fondare questo riferimento, padre Ezio ha citato a un passaggio conclusivo della lettera che papa Francesco ha scritto a tutti i sacerdoti in occasione del 160° anniversario della morte del Curato D’Ars. Anche il pontefice parla della Madonna come faro del sacerdote: «Guardare Maria è tornare a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto. In lei vediamo che l’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti, che non hanno bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti. Se qualche volta lo sguardo inizia a indurirsi, o sentiamo che la forza seducente dell’apatia o della desolazione vuole mettere radici e impadronirsi del cuore; se il gusto di sentirci parte viva e integrante del Popolo di Dio comincia a infastidirci e ci sentiamo spinti verso un atteggiamento elitario … non abbiamo paura di contemplare Maria e intonare il suo canto di lode».