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Con la celebrazione dei primi vespri della I domenica di Avvento inizia un nuovo anno liturgico, che non è una serie di feste che si susseguono l’una dopo l’altra, ma è la struttura all’interno della quale possiamo vivere, in maniera sacramentale, il mistero di Cristo. Esso è caratterizzato da circolarità e progressione. L’uomo vive nel tempo, che è una successione di albe e di tramonti, di mesi e di stagioni. Adattandosi all’uomo, l’anno liturgico, che è l’anno della Chiesa, assume forma ciclica. Ma insieme c’è una progressione, perché quel cerchio non è la prigione spirituale dell’eterno ritorno di cui parlavano i greci. Cristo quel cerchio lo ha spezzato per sempre, al dire di sant’Agostino. Con il tempo della natura si interseca il tempo della salvezza, che è lineare: una linea di salvezza in cui Cristo è presente dall’inizio fino al termine (Oscar Cullmann). Pur muovendosi in forma circolare, la liturgia sviluppa il circolo a spirale in un movimento ascensionale. «Nel corso dell’anno – come ci ricorda la costituzione sulla sacra liturgia – la santa madre Chiesa distribuisce tutto il mistero di Cristo dall’Incarnazione e dalla Natività fino all’Ascensione, al giorno di Pentecoste e all’attesa della beata speranza e del ritorno del Signore» (Sacrosanctum Concilium, n. 102).
L’evangelista Luca, che ci ha accompagnato nell’anno liturgico appena concluso, nel libro degli Atti degli Apostoli, raccontando l’evento dell’Ascensione, scrive: «Mentre lo guardavano, Gesù fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”» (At 1, 10-11).
La Chiesa Sposa, che vive nell’attesa del ritorno dello Sposo, conserva nel cuore quello sguardo rivolto verso il cielo e ogni anno, nel tempo di Avvento, torna a lanciarlo in alto per poter scorgere la venuta del suo Signore.
L’Avvento non è, quindi, una semplice preparazione al Natale, quasi dovessimo fingere che Gesù non sia nato per poi doverci fintamente stupire della sua nascita nella notte santa. Esso è piuttosto il «sacramento» della venuta del Signore, perché memoria viva della sua incarnazione, attualizzazione del suo venire oggi dentro la nostra vita, anticipazione della sua venuta definitiva. Nell’attesa la Chiesa, come ogni sposa, non ha altra occupazione se non quella di farsi bella per lo Sposo. Lo Spirito Santo è il suo “cosmetico”, che agisce operando la sua conversione non con la paura per la minaccia dell’arrivo di un giudice severo, ma con la gioia per il ritorno dello Sposo. Per questo lo Spirito e la Sposa dicono: «Vieni!» (Ap 22, 17). L’invocazione che riempie il tempo di Avvento è già forte della presenza del Signore, che, venuto nel suo Natale nella carne, rimane con noi nel suo Santo Spirito, del quale la nostra carne è tempio. Se ogni anno noi celebriamo l’Avvento, esso non è la semplice ripetizione di quello precedente. È una nuova venuta del Signore nella Chiesa, nelle anime, nel mondo. Il simbolo più eloquente dell’Avvento è l’Etimasia, il trono vuoto degli antichi mosaici che vediamo in alcune nostre chiese, segno del nostro cuore che ha bisogno di accogliere ogni volta la tenerezza e l’amore di Dio.
Il desiderio dell’incontro con la luce di Cristo si manifesta bene nel rito del lucernario, con il quale abbiamo voluto aprire la celebrazione del vespro, e nasce anche dalla consapevolezza della nostra fragilità, che però non si deve mai chiudere in se stessa, ma trovare invece, alla luce della fede, la forza di aprirsi all’azione della Grazia. «È giusto e santo che in ogni tempo celebriamo te, Figlio di Dio. Tu sei la Luce del mondo!»: così canta l’antico inno liturgico dal titolo O Luce gioiosa. In una sua poesia, David Maria Turoldo descriveva con queste parole il grido dell’uomo che invoca la venuta del Signore:
Vieni di notte, ma nel nostro cuore è sempre notte: e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni in silenzio, noi non sappiamo più cosa dirci: e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni in solitudine, ma ognuno di noi è sempre più solo: e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni, figlio della pace, noi ignoriamo cosa sia la pace: e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni a liberarci, noi siamo sempre più schiavi: e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni a consolarci, noi siamo sempre più tristi: e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni a cercarci, noi siamo sempre più perduti: e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni, tu che ci ami, nessuno è in comunione col fratello se prima non è con te, o Signore.
Noi siamo tutti lontani, smarriti, né sappiamo chi siamo, cosa vogliamo:
vieni, Signore. Vieni sempre, Signore.
Il direttore dell’Ufficio Liturgico
padre Ezio Casella Ofm