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Al termine dell’Anno della Misericordia, chiudendo la Porta Santa, nascono nel nostro cuore anzitutto sentimenti di gratitudine e di ringraziamento verso la Santissima Trinità per averci concesso, attraverso papa Francesco, questo tempo straordinario di grazia. Durante l’Anno della Misericordia spesso abbiamo varcato le porte che il vescovo Domenico ha scelto in varie chiese della diocesi, indicandole come «Porta Santa della Misericordia». Desideriamo ora, a conclusione del cammino percorso insieme come comunità diocesana, fare memoria dei numerosi doni ricevuti nel corso di quest’anno straordinario, che ha visto anche tanta sofferenza e lacrime sul volto dei fratelli e delle sorelle colpiti dalla tragedia del terremoto.
La visita di papa Francesco ad Amatrice nel giorno del suo onomastico ci ricorda che non possiamo vivere in pienezza la nostra umanità se non siamo capaci di farci prossimi a chi è nella prova. Attraversando ancora una volta la Porta Santa, desideriamo domandare la grazia di diventare umilmente piccoli nella casa del Signore per somigliare a Cristo servo, Porta delle pecore. Con lui e con la nostra Madre addolorata, la Chiesa, prendiamo su di noi l’afflizione di tanti fratelli e sorelle. Tanti edifici di culto, come le nostre abitazioni, portano i segni del terremoto, ma la Chiesa siamo noi e dobbiamo ricostruire ogni giorno, nella speranza, le nostre relazioni di amore fraterno, perché la carità sia la forma della nostra fede, ancora più forte dinanzi al dolore. Di questo ci parla la Porta che è Cristo. Attraversare la porta è allora metafora di come possiamo attraversare i giorni e gli anni della nostra vita tenendo fisso lo sguardo su Gesù, «colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (Eb 12, 2).
«A che scopo c’è il portale nelle nostre chiese?», si domandava il teologo italo-tedesco Romano Guardini nel suo libro I santi segni. Forse ti meravigli di questa domanda. «Perché si entri e se ne esca», pensi tu; la risposta non è difficile. Se però ti poni in ascolto, la porta della chiesa ti parla. Non dovremmo varcarla così frettolosamente, quasi di corsa. In raccolta lentezza dovremmo superarla e aprire il nostro cuore perché avverta quello che ci dice. Dovremmo, anzi, prima sostare un poco in raccoglimento. Quando entri, involontariamente alzi il capo e gli occhi. Lo sguardo si volge all’alto e abbraccia la vastità dell’ambiente; il petto si dilata e l’anima pure. L’ambiente vasto e alto della chiesa è similitudine dell’eternità infinita, del cielo in cui abita Dio. Certo, i monti sono ancora più elevati, e incommensurabilmente più alta è l’azzurra distesa del cielo. Però questa è tutta aperta, non ha limite né figura. Qui invece lo spazio è riservato a Dio. Lo sentiamo nei pilastri che si drizzano verso l’alto, nelle pareti ampie e robuste, nella volta elevata. Sì, questa è la casa di Dio, l’abitazione di Dio in una maniera speciale, interiore. E la porta introduce l’uomo e la donna a questo mistero. Essa dice: «Deponi ciò che ti angustia. Scrolla quanto ti opprime. Dilata il petto. Alza gli occhi. Libera l’anima! Tempio di Dio è questo e una similitudine di te stesso. Poiché tempio del Dio vivente sei proprio tu, il tuo corpo e la tua anima. Rendilo ampio, rendilo libero ed elevato».
«Alzatevi, porte antiche, ed entri il re della gloria»: così si invoca nella Sacra Scrittura. Presta attenzione a questo grido. A che ti giova la casa di legno e di pietre se non sei tu stesso una casa vivente di Dio? A che ti giova che i portali alti si incurvino e i pesanti battenti si schiudano se in te non s’apre alcuna porta e il Re della gloria non può entrare? Chiudere la Porta Santa significa dunque aprire quella del cuore, perché sia spazio accogliente di ogni fratello e sorella che incontriamo nel cammino della vita. «Ci ha amati con un cuore di carne», abbiamo cantato tante volte con l’inno del giubileo, ma il sacrificio del Calvario sarà completo «solo quando il mondo sarà diventato spazio d’amore» (J. Ratzinger, Teologia della liturgia. La fondazione sacramentale dell’esistenza cristiana, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2010, p. 67).
Affidiamo la vita della nostra Chiesa reatina alla signoria di Cristo, perché effonda la sua misericordia come la rugiada del mattino per una feconda storia da costruire con l’impegno di tutti nel prossimo futuro. «Come desidero che gli anni a venire siano intrisi di misericordia per andare incontro a ogni persona, portando la bontà e la tenerezza di Dio! A tutti, credenti e lontani, possa giungere il balsamo della misericordia come segno del Regno di Dio già presente in mezzo a noi» (Papa Francesco, Misericordiæ vultus, n. 5).
Il direttore dell’Ufficio Liturgico
padre Ezio Casella Ofm